Nome
Pozzo del Merro
Data inserimento
2007-01-01 00:00:00
Data ultimo aggiornamento
2006-01-08 21:12:47
Dopo ripetute immersioni per rilevamenti morfometrici della cavità a profondità via via crescenti, nel Maggio 1999 Caramanna e Malatesta raggiungono –100 metri dalla superficie del lago, esplorando un condotto carsico che, contrariamente alle conoscenze di allora, si presenta ''ricurvo'' a forma di banana. Nella discesa vengono eseguiti rilievi speditivi sulla geometria del condotto principale con misura delle distanze tra punti di riferimento e di orientazione della cavità ( bussola ), in acque limpidissime ma in totale assenza di luce. Questa esplorazione particolarmente impegnativa offre tra l'altro la spiegazione sull'erronea interpretazione dei dati batimetrici acquisiti nel 1975. L'immersione del Maggio 1999, con osservazioni dirette sulla morfologia carsica delle pareti della cavità, l'individuazione di nuove diramazioni laterali e il prelievo di campioni d'acqua a profondità prestabilite, ha dato impulso a nuovi sviluppi della ricerca con il coinvolgimento di esperti del ''Gruppo sommozzatori'' e del ''Soccorso alpino-fluviale'' dei Vigili del Fuoco di Roma e di Grosseto, diretti sul campo da E.Ghilardi, C.Rosa e Q.Capecchi. Fruttuose sinergie scaturite dall'intesa tra ricercatori e tecnici della protezione civile, e l'impiego di sofisticati strumenti robotici ( R.O.V – Remote Opereted Vehicle ) in dotazione ai Vigili del Fuoco, hanno consentito di estendere l'esplorazione subacquea della voragine a profondità crescenti, compatibili con le caratteristiche tecniche del veicolo telecomandato. Come è noto, con la profondità aumenta la pressione che l'acqua esercita sulla strumentazione utilizzata per l'esplorazione del lago, provocando oltre certi valori di sicurezza imposti dalla casa costruttrice, l'implosione della camera che protegge i circuiti elettronici. Il 10 Febbraio 2000 veniva calato da una piattaforma galleggiante ancorata al centro del lago, il robot ''Mercurio'' capace di raggiungere la profondità massima di 210 metri. Equipaggiato con quattro motori ad elica per spostamenti verticali e laterali, e con due telecamere per riprese in continuo del condotto da esplorare, il robot pilotato con dispositivo joystick da specialisti dei Vigili del Fuoco, raggiungeva dopo circa 1 ora la massima profondità consentita dal cavo ( 200 metri di lunghezza ) senza raggiungere però il fondo del lago e del condotto carsico. L'interesse scientifico e la curiosità dei ricercatori da una parte, la novità della missione affrontata e la sorpresa dei Vigili del Fuoco dall'altra, imponevano nuove scelte per la prosecuzione dell'esplorazione con l'impiego di un robot capace di resistere a pressioni maggiori di 20 bar ( limite operativo di ''Mercurio'' ). L'attesa viene premiata con l'impiego del robot ''Hi Ball'' che i Vigili del Fuoco del Nucleo di Grosseto calano nel lago del Merro l'8 Aprile 2000. Più compatto del precedente e di forma sferica, il robot ''Hi Ball'' possiede 4 motori ad elica per la locomozione ed una telecamera capace di ruotare di 360° su un piano verticale che consente agli operatori di pilotare dalla zattera il veicolo sino alla profondità massima di esercizio di 300 metri. ''Hi Ball'', con lievi correzioni laterali del suo percorso nella lenta discesa lungo il condotto subverticale, raggiunge la profondità massima di sicurezza di 300 metri. Poi, con coraggiosa valutazione dell'operatore, viene pilotato a 310 metri di profondità senza che sia raggiunto il fondo del lago. A questa profondità mai raggiunta in altri laghi carsici del pianeta da sistemi di esplorazione automatica ( R.O.V. ) la telecamera mobile di cui è equipaggiato il robot non ha fornito segnali che lascino ritenere prossima la chiusura del condotto carsico invaso da acque limpidissime, alla temperatura di 16 °C e alla quota di -240 metri sotto il livello del mare. La prosecuzione dell'esplorazione ''indiretta'' del lago del Merro ha per ora subito una sosta forzata, in attesa che un nuovo robot con caratteristiche tecniche adeguate a maggiori pressioni dell'acqua e di limitato ingombro, possa fornire ai ricercatori dati e informazioni su un ambiente così particolare e per alcuni aspetti unico.
PRIMI RISULTATI Le indagini idrologiche ed idrogeologiche sul Merro e, più in generale, nell'area cornicolana e nella Piana di Tivoli-Guidonia sono ancora in corso di svolgimento. I dati sinora acquisiti, sebbene preliminari, indicano che la formazione del Pozzo del Merro ( come del resto di altre cavità piccole e grandi presenti anche nella Piana di Tivoli ) sia controllata da faglie attive ed accelerata nello sviluppo dall'attività idrotermale. Il processo idrotermale, come è noto, è caratteristico ( anche se non esclusivo ) delle aree vulcaniche. Il processo idrotermale precede, accompagna e conclude grandiosi fenomeni naturali che determinano la risalita , lo sviluppo e la fine dell'attività eruttiva di un vulcano come quello dei Colli Albani ( o Vulcano Laziale ), ai margini dell'area aniense. Alla periferia nord-orientale di questo grande edificio si concentra da circa 300 mila anni la maggiore attività idrotermale dell'area, interessando soprattutto il territorio che comprende i Monti Cornicolani e la Piana di Tivoli-Guidonia, tra il Fiume Aniene e il Fiume Tevere. E' in questo territorio, infatti, che si rilevano le maggiori evidenze di un'intensa attività idrotermale che ha prodotto i travertini di Tivoli ( ''Lapis tiburtinus'') a partire da circa 250 mila anni sino ai nostri giorni. Il processo idrotermale manifesta la sua grandiosità soprattutto nella Piana di Tivoli dove numerose sorgenti carsiche sparse nell'area pianeggiante di Bagni e al piede dei Monti Tiburtini, presso Tivoli, erogano spontaneamente una rilevante portata di acque molto ricche in sali minerali ( soprattutto calcio e solfati ), in gas ( CO2, H2S etc. ) e con valori di temperatura di 22-23°C. Sotto il profilo termico tali acque vengono classificate come ''ipotermali'' e sebbene la loro temperatura in assoluto non sia rilevante, consentono di prevedere l'esistenza di una considerevole fonte di calore in zone molto profonde del sottosuolo ( verosimilmente prossime alla camera magmatica del Vulcano Laziale ) che irradia energia termica. In particolari condizioni geologiche, il flusso di calore e di gas si canalizzano nel reticolo di grandi fratture e di faglie ''attive'' che dissecano le masse rocciose da zone di considerevole profondità sino alla superficie. E' questo flusso di calore che riscalda le acque sotterranee nel loro lento movimento verso le sorgenti delle Acque Albule, dove tornano in superficie dopo un lungo percorso nella roccia serbatoio da che, sottoforma di pioggia, si sono infiltrate nei Monti Lucretili, Tiburtini e Cornicolani. Il Pozzo del Merro, secondo questa ricostruzione rappresenta una ''finestra'' sulla falda carsica regionale le cui acque transitano lentamente verso sud, dove si trovano le grandi sorgenti di Bagni di Tivoli e, in subalveo, del F.Aniene. Le acque del lago del Merro, apparentemente immobili, si muovono in realtà con una velocità valutabile da alcuni centimetri ad alcuni decimetri al giorno, seguendo nel corso dell'anno la fluttuazione regolare della superficie piezometrica della falda regionale, con variazioni estreme di livello indicativamente di 0,5 metri. Fin qui il Pozzo del Merro può essere considerato come il più profondo lago carsico del pianeta esplorato indirettamente con tecnica R.O.V. Unitamente ad altre cavità note in regioni carsiche del mondo, rappresenta un magnifico esempio di carsismo termale ancora in evoluzione, in aree soggette a tettonica attiva.
Il progetto scientifico
Il progetto esplorativo del Pozzo del Merlo si inquadra in una più vasta ricerca riguardante l'idrogeologia dei M.ti Cornicolani nel Lazio orientale. Il responsabile della ricerca è il Prof. Paolo Bono docente di Idrogeologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Roma "La Sapienza".
Per la particolarità del sito in studio si sono rese necessarie delle immersioni scientifiche speleosubacquee al fine di raccogliere i dati necessari alla ricerca; come Scientific Diver F.I.A.S./ I.S.S.D sono impegnato nell'esecuzione di queste immersioni e i dati raccolti, dopo un'adeguata elaborazione, costituiranno parte integrante della mia Tesi di laurea in Scienze Geologiche. Le immersioni naturalmente costituiscono solo una parte, seppur spettacolare ed interessante, del meticoloso lavoro scientifico necessario per condurre una seria ricerca idrogeologica. Mai come in questo caso è necessario un lavoro di squadra che coinvolge persone con bagagli culturali diversi e complementari gli uni agli altri. Oltre al già citato Prof. P. Bono e al sottoscritto lavorano al progetto il Dott. Carlo Percopo (collaboratore scientifico del D. S. T.) esperto in geochimica delle acque e valido sub, Riccardo Malatesta (effettivo nel Corpo dei Vigili del Fuoco) che, nel tempo libero, collabora alla raccolta dei dati durante le immersioni e si occupa di buona parte della logistica, Simone Formica (Istruttore Subacqueo) compagno di immersione.
Il lavoro nel Pozzo del Merlo si articola in più punti che spaziano dalla mappatura della struttura a misure termiche, al campionamento di acqua, roccia e materiale biologico. Per ognuna di queste operazioni si sono adottate tecniche diverse e adeguate alla logistica del sito. Quando possibile abbiamo utilizzato protocolli suggeriti da organizzazioni speleosubacquee nazionali ed internazionali, altre volte abbiamo sviluppato procedure nuove testandole preventivamente in immersioni di prova.
Un aspetto da non trascurare in questo tipo di attività è anche quello "burocratico"; le operazioni condotte esulano da quelle classiche di una Tesi tradizionale soprattutto per gli aspetti assicurativi e di responsabilità civile. Per questo motivo è stata stipulata un'assicurazione professionale specifica mediante il Divers Alert Network sollevando il D.S.T. e il Prof. P. Bono da qualsiasi responsabilità. Inoltre la cavità è inserita nell'Area protetta del Parco di "Macchia di Gattaceca", l'ecosistema in studio è estremamente delicato e particolare ed occorre prestare la massima attenzione al fine di minimizzare l'impatto ambientale che si origina immergendosi in acque sostanzialmente isolate da moltissimo tempo. Prima di intraprendere qualsiasi attività di ricerca abbiamo contattato le Autorità locali e il Servizio Natura ed Aree protette della provincia di Roma. Da questi Enti abbiamo avuto una risposta entusiastica alla proposta di ricerca ed un'ampia collaborazione, soprattutto da parte dell'Amministrazione comunale di S. Angelo Romano nella persona del Sindaco O. Mattei.
L'esplorazione subacquea
Una prima serie di immersioni ci hanno consentito di raggiungere la profondità di -70 m. eseguendo una mappatura preliminare e campionamenti di acqua e roccia. La cavità prosegue oltre questa quota ma non è prudente scendere a profondità superiori a quella raggiunta continuando ad usare la semplice aria come gas respiratorio. Abbiamo quindi deciso di estendere l'esplorazione con l'uso di miscele per cercare di raggiungere il fondo della voragine. L'operazione è stata resa possibile anche grazie al contributo economico concesso alla ricerca dall'Acea S.p.A. Lo scopo dell'immersione era di cercare di definire la profondità della cavità e campionare l'acqua per la ricerca in corso. Informazioni varie indicavano una profondità massima di circa 80 / 90 metri, in ogni caso avevamo organizzato la cosa in modo da poter essere operativi fino a -103 m.
L'organizzazione dell'immersione ha richiesto vari giorni di preparativi. Per prima cosa si è scelto il gruppo di supporto, fondamentale per la riuscita in sicurezza dell'immersione, poi abbiamo iniziato la compilazione delle tabelle necessarie e quindi ci siamo occupati delle miscele La miscela scelta è stata un Nitrox 36 per il trasferimento dalla superficie ai -33m ed una miscela Heliair 12/40 (12% Ossigeno, 40 % Elio, 48% Azoto) dai -33m al fondo. La decompressione si è effettuata in Nitrox 36 ed ossigeno puro per le quote di 6 e 3 metri. Per gli aspetti medici abbiamo avuto la cortese e professionale assistenza del Centro Iperbarico Romano e in particolare della Dott.ssa Giuliana Valente e di Luca Borzelli
Finalmente sabato 08/05/1999 tutto era pronto! Ci siamo alzati di buon mattino e, con una certa trepidazione, abbiamo controllato un'ultima volta tutta l'attrezzatura prima di caricarla sulle macchine e partire alla volta del Merlo. Giunti sul posto si è iniziato a scaricare il materiale e a trasportarlo fino alla superficie dell'acqua. Dopo quasi tre ore di duro lavoro la squadra di supporto (composta da otto validi elementi) terminava il suo compito e passava il testimone al gruppo sub.
Il primo a scendere in acqua è stato Simone Formica che, impeccabilmente come sempre, ha sistemato le bombole per la decompressione e per le miscele di riserva. Ottenuto l'OK da Simone Riccardo Malatesta ed io ci siamo preparati per la discesa.
La discesa inizia sicura lungo la cima guida principale fino ai -33 m a questa quota lasciamo le bombole di Nitrox e proseguiamo con l'Heliair. Alla quota di - 50m la cima principale si interrompe e Riccardo collega a questa la cimetta del reel che da questo punto in poi costituirà il solo legame con la superficie. Raggiungiamo rapidamente i -70m , la cavità inizia a restringersi ed il fondo si orizzontalizza; oltre i -75m però la struttura assume una forma a fessura e pochi metri dopo ci troviamo sospesi nel buio senza più vedere il fondo o il tetto! Ci portiamo verso la parete orientale e continuiamo la discesa. La parete di calcare scorre veloce mentre noi ci lasciamo scivolare nel buio liquido che ci circonda, il display del computer indica valori crescenti - 80, -90, -95.... a - 100m ancora non c'è traccia del fondo ma ci dobbiamo fermare e cercare un buon ancoraggio per la cima lungo la parete. Mentre Riccardo si occupa di sistemare la cima guida io riesco a prelevare un prezioso campione d'acqua che sarà oggetto di analisi geochimiche nel laboratorio dell'Università. Un rapido controllo dei tempi ci dice che è inderogabilmente ora di risalire verso la lunga decompressione che ci aspetta molte decine di metri più in alto. La risalita è continua e cadenzata dal rispetto delle velocità programmate e dei tempi di transito alle varie quote; il computer, ignaro del fatto che stiamo respirando una miscela ben diversa dall'aria, continua il suo silenzioso calcolo della decompressione e i tempi evidenziati sono impressionanti. Verso i -70 scorgo la luce del faro di Simone che , 20 metri più in alto, ci attende alla quota prevista. Raggiungiamo i -50m, un rapido segno d'intesa e continuiamo la risalita lungo la cima principale fino ai -33m. A questa quota cambiamo gas respiratorio riprendendo il Nitrox che ci accompagnerà, dalla tappa di decompressione dei - 30 m fino ai -6 m ove inizieremo la lunga fase ad ossigeno puro. Simone ci segue con una bombola di riserva pronto ad intervenire per ogni evenienza.
Siamo ormai a pochi metri dalla superficie e mentre aspettiamo che passino i lunghi minuti di decompressione torniamo a ripensare a quanto visto. La cavità è ben più estesa di quanto si potesse immaginare e sicuramente torneremo per cercare non solo di trovarne il fondo ma per eseguire un rilievo della parte profonda visto che questo è uno degli scopi della ricerca in corso.
Prevediamo, nel prossimo futuro, di organizzare una campagna di alcuni giorni in modo da poter organizzare una serie di immersioni profonde, con l'uso di miscele, per definire meglio le dimensioni e le caratteristiche della parte terminale della cavità.
Vorrei concludere questa nota ricordando che in immersioni di questo tipo è di fondamentale importanza l'organizzazione al fine di minimizzare i rischi per gli operatori coinvolti. L'esecuzione di misure e campionamenti infatti aggiunge ulteriore carico di lavoro ad un'immersione che è già di per se stessa complessa ed impegnativa per profondità raggiunte e per la tipologia dell'ambiente in cui si svolge. Solo con una lenta progressione e accettando i propri limiti è possibile raggiungere risultati scientificamente validi nel rispetto della sicurezza che, non è superfluo ripeterlo, viene prima di ogni altra considerazione.
Tratto dal sito di Assonet.
Rilevo 1
Rilievo 2
Rilievo 3
Rilievo 4
Tipo di cavità
grotta
Stato
Italy
Provincia
262
Comune
S. Angelo Romano
Sviluppo totale
300
Dislivello
-240 ?
Longitudine
12° 40' 52'' E
Latitudine
42° 2' 21.8'' N
Datum
WGS84
Quota
412 m. s. l. m.
Geologia
Il "Pozzo del Merro" è un'ampia voragine, parzialmente allagata, che si apre nella roccia calcarea del complesso carbonatico dei Monti Cornicolani nel Lazio orientale nel territorio del Comune di S. Angelo Romano.
Descrizione
Come altre analoghe strutture deve la sua origine all'azione di dissoluzione chimica del carbonato di calcio, costituente principale delle rocce carbonatiche, da parte degli acidi presenti nelle acque circolanti nel terreno. Col passare del tempo la cavità si è progressivamente ingrandita ed approfondita fino ad assumere l'attuale conformazione di una specie di grosso imbuto al fondo del quale si incontra la superficie dell'acqua da cui ha inizio la nostra esplorazione subacquea. L'aspetto della superficie liquida è reso particolare per la presenza di una copertura di piccole piante acquatiche (Lemna sp.); sotto questo manto vegetale si apre un abisso di acqua cristallina.
Altro,note
Stabilire la profondità massima, la forma, le dimensioni e l'orientazione del condotto carsico e delle sue diramazioni; definire le variazioni di temperatura e di chimismo della colonna d'acqua sino alla massima profondità , è di fondamentale importanza conoscitiva per tentare di ricostruire il processo evolutivo che ha dato origine e che ha determinato lo sviluppo della voragine così come ci appare oggi. Capire quanto è accaduto in passato ci aiuta a prevedere cosa accadrà in futuro, a prevenire o a mitigare gli effetti ( talora altamente distruttivi ) di fenomeni naturali come quelli che hanno dato origine alla voragine del Merro. Più in generale tali fenomeni si riconoscono frequentemente nel territorio dei Monti Cornicolani ma anche nella piana di Guidonia e di Tivoli. Ad esempio nella fascia pedemontana della catena montuosa tiburtino-lucretile (campagna di Marcellina) recentemente (Gennaio 2001) si è formata una profonda voragine, senza nessun segnale premonitore, che ha messo in serio pericolo il metanodotto TRANSMED (SNAM) e un traliccio dell' ERGA per cavi ad alta tensione, ubicati ai margini dello sprofondo. Le ricerche idrologiche ed idrogeologiche sul Merro sono iniziate nel 1970, condotte con la collaborazione di tesisti e studenti dei corsi di laurea in Scienze geologiche e in Scienze naturali dell'Università ''La Sapienza''. Il Pozzo del Merro ( lat 42° 02' 14'' N – long 12° 40' 52'' E ), è situato 30 Km ad Est di Roma nel territorio del Comune di S.Angelo Romano ( Provincia di Roma ). Il Merro è una profonda voragine che si apre nelle rocce calcaree del Parco Naturale di Macchia di Gattaceca ( Amministrazione Provinciale di Roma ) ad una altitudine di circa 130 metri, sulle pendici meridionali di Monti Cornicolani. I rilievi Cornicolani rappresentano il confine occidentale della catena appenninica laziale-sabina, pochi chilometri a Nord-Ovest di Tivoli. Sono costituiti da rocce prevalentemente calcaree del Lias medio ( Formazione del ''Calcare Massiccio'' ), dissecate da sistemi di faglie secondo direzioni NW-SE e N-S. In tempi geologici recenti, movimenti tettonici e favorevoli condizioni climatiche caratterizzate da abbondanti precipitazioni, hanno favorito lo sviluppo di una intensa erosione carsica che ha generato nella roccia numerosi condotti ipogei e forme superficiali diffuse nel paesaggio cornicolano rappresentate da doline, uvala e polje. La voragine del Merro ospita un lago con contorno circolare, di circa 30 metri di diametro ma di profondità non nota. La parte emersa della cavità è simile ad un grande imbuto che si raccorda al suolo formando una apertura subcircolare di circa 100 metri di diametro alla quota di 150 metri. La superficie del lago si trova a circa 80 metri dall'orlo della voragine, alla quota di 70 metri, alla base di scoscese pareti in rocce calcaree che a tratti raggiungono la verticalità ( settore settentrionale ). L'interno della voragine è popolato da una rigogliosa vegetazione arborea costituita da Quercus, Carpinus, Acer e Fraxinus che beneficia di condizioni climatiche ''locali'' particolarmente favorevoli soprattutto per l'elevata umidità del sito e per la temperatura dell'aria più alta della media di quell'area. Nel 1975, indagini batimetriche eseguite con una piccola imbarcazione equipaggiata di ecoscandaglio elettronico e con cordino centimetrato, hanno consentito di stabilire a 70 metri la massima profondità del lago del Merro. Prelievi di campioni d'acqua con dispositivi automatici, determinazioni chimico-fisiche di campo ( pH, conducibilità elettrica, temperatura ) con strumenti elettrochimici di profondità, e analisi chimiche di laboratorio completano la campagna di rilevamenti estesi, più in generale, all'area aniense. Nel 1990, vengono riprese le ricerche in modo sistematico ed indirizzate soprattutto alla piana di Tivoli, con il controllo periodico della portata e del chimismo delle maggiori sorgenti dell'area ( Acque Albule: ''Lago Regina e Lago Colonnelle''; Aquoria etc. ) e del livello delle acque sotterranee in pozzi di particolare interesse oltre che in alcune cave di travertino. Nel 1998, le indagini sul Merro riprendono con vigore e con nuovi obiettivi. La ricerca, infatti, può avvalersi del contributo di un tesista in idrogeologia ( G.Caramanna ), esperto in esplorazioni subacquee, e di un aiuto ( R. Malatesta ), membro del gruppo subacqueo dei Vigili del Fuoco. Altri specialisti ( S.Formica, C.Percopo ) partecipano alle campagne di esplorazione subacquea che vengono via via programmate per lo studio specifico del lago del Merro.Dopo ripetute immersioni per rilevamenti morfometrici della cavità a profondità via via crescenti, nel Maggio 1999 Caramanna e Malatesta raggiungono –100 metri dalla superficie del lago, esplorando un condotto carsico che, contrariamente alle conoscenze di allora, si presenta ''ricurvo'' a forma di banana. Nella discesa vengono eseguiti rilievi speditivi sulla geometria del condotto principale con misura delle distanze tra punti di riferimento e di orientazione della cavità ( bussola ), in acque limpidissime ma in totale assenza di luce. Questa esplorazione particolarmente impegnativa offre tra l'altro la spiegazione sull'erronea interpretazione dei dati batimetrici acquisiti nel 1975. L'immersione del Maggio 1999, con osservazioni dirette sulla morfologia carsica delle pareti della cavità, l'individuazione di nuove diramazioni laterali e il prelievo di campioni d'acqua a profondità prestabilite, ha dato impulso a nuovi sviluppi della ricerca con il coinvolgimento di esperti del ''Gruppo sommozzatori'' e del ''Soccorso alpino-fluviale'' dei Vigili del Fuoco di Roma e di Grosseto, diretti sul campo da E.Ghilardi, C.Rosa e Q.Capecchi. Fruttuose sinergie scaturite dall'intesa tra ricercatori e tecnici della protezione civile, e l'impiego di sofisticati strumenti robotici ( R.O.V – Remote Opereted Vehicle ) in dotazione ai Vigili del Fuoco, hanno consentito di estendere l'esplorazione subacquea della voragine a profondità crescenti, compatibili con le caratteristiche tecniche del veicolo telecomandato. Come è noto, con la profondità aumenta la pressione che l'acqua esercita sulla strumentazione utilizzata per l'esplorazione del lago, provocando oltre certi valori di sicurezza imposti dalla casa costruttrice, l'implosione della camera che protegge i circuiti elettronici. Il 10 Febbraio 2000 veniva calato da una piattaforma galleggiante ancorata al centro del lago, il robot ''Mercurio'' capace di raggiungere la profondità massima di 210 metri. Equipaggiato con quattro motori ad elica per spostamenti verticali e laterali, e con due telecamere per riprese in continuo del condotto da esplorare, il robot pilotato con dispositivo joystick da specialisti dei Vigili del Fuoco, raggiungeva dopo circa 1 ora la massima profondità consentita dal cavo ( 200 metri di lunghezza ) senza raggiungere però il fondo del lago e del condotto carsico. L'interesse scientifico e la curiosità dei ricercatori da una parte, la novità della missione affrontata e la sorpresa dei Vigili del Fuoco dall'altra, imponevano nuove scelte per la prosecuzione dell'esplorazione con l'impiego di un robot capace di resistere a pressioni maggiori di 20 bar ( limite operativo di ''Mercurio'' ). L'attesa viene premiata con l'impiego del robot ''Hi Ball'' che i Vigili del Fuoco del Nucleo di Grosseto calano nel lago del Merro l'8 Aprile 2000. Più compatto del precedente e di forma sferica, il robot ''Hi Ball'' possiede 4 motori ad elica per la locomozione ed una telecamera capace di ruotare di 360° su un piano verticale che consente agli operatori di pilotare dalla zattera il veicolo sino alla profondità massima di esercizio di 300 metri. ''Hi Ball'', con lievi correzioni laterali del suo percorso nella lenta discesa lungo il condotto subverticale, raggiunge la profondità massima di sicurezza di 300 metri. Poi, con coraggiosa valutazione dell'operatore, viene pilotato a 310 metri di profondità senza che sia raggiunto il fondo del lago. A questa profondità mai raggiunta in altri laghi carsici del pianeta da sistemi di esplorazione automatica ( R.O.V. ) la telecamera mobile di cui è equipaggiato il robot non ha fornito segnali che lascino ritenere prossima la chiusura del condotto carsico invaso da acque limpidissime, alla temperatura di 16 °C e alla quota di -240 metri sotto il livello del mare. La prosecuzione dell'esplorazione ''indiretta'' del lago del Merro ha per ora subito una sosta forzata, in attesa che un nuovo robot con caratteristiche tecniche adeguate a maggiori pressioni dell'acqua e di limitato ingombro, possa fornire ai ricercatori dati e informazioni su un ambiente così particolare e per alcuni aspetti unico.
PRIMI RISULTATI Le indagini idrologiche ed idrogeologiche sul Merro e, più in generale, nell'area cornicolana e nella Piana di Tivoli-Guidonia sono ancora in corso di svolgimento. I dati sinora acquisiti, sebbene preliminari, indicano che la formazione del Pozzo del Merro ( come del resto di altre cavità piccole e grandi presenti anche nella Piana di Tivoli ) sia controllata da faglie attive ed accelerata nello sviluppo dall'attività idrotermale. Il processo idrotermale, come è noto, è caratteristico ( anche se non esclusivo ) delle aree vulcaniche. Il processo idrotermale precede, accompagna e conclude grandiosi fenomeni naturali che determinano la risalita , lo sviluppo e la fine dell'attività eruttiva di un vulcano come quello dei Colli Albani ( o Vulcano Laziale ), ai margini dell'area aniense. Alla periferia nord-orientale di questo grande edificio si concentra da circa 300 mila anni la maggiore attività idrotermale dell'area, interessando soprattutto il territorio che comprende i Monti Cornicolani e la Piana di Tivoli-Guidonia, tra il Fiume Aniene e il Fiume Tevere. E' in questo territorio, infatti, che si rilevano le maggiori evidenze di un'intensa attività idrotermale che ha prodotto i travertini di Tivoli ( ''Lapis tiburtinus'') a partire da circa 250 mila anni sino ai nostri giorni. Il processo idrotermale manifesta la sua grandiosità soprattutto nella Piana di Tivoli dove numerose sorgenti carsiche sparse nell'area pianeggiante di Bagni e al piede dei Monti Tiburtini, presso Tivoli, erogano spontaneamente una rilevante portata di acque molto ricche in sali minerali ( soprattutto calcio e solfati ), in gas ( CO2, H2S etc. ) e con valori di temperatura di 22-23°C. Sotto il profilo termico tali acque vengono classificate come ''ipotermali'' e sebbene la loro temperatura in assoluto non sia rilevante, consentono di prevedere l'esistenza di una considerevole fonte di calore in zone molto profonde del sottosuolo ( verosimilmente prossime alla camera magmatica del Vulcano Laziale ) che irradia energia termica. In particolari condizioni geologiche, il flusso di calore e di gas si canalizzano nel reticolo di grandi fratture e di faglie ''attive'' che dissecano le masse rocciose da zone di considerevole profondità sino alla superficie. E' questo flusso di calore che riscalda le acque sotterranee nel loro lento movimento verso le sorgenti delle Acque Albule, dove tornano in superficie dopo un lungo percorso nella roccia serbatoio da che, sottoforma di pioggia, si sono infiltrate nei Monti Lucretili, Tiburtini e Cornicolani. Il Pozzo del Merro, secondo questa ricostruzione rappresenta una ''finestra'' sulla falda carsica regionale le cui acque transitano lentamente verso sud, dove si trovano le grandi sorgenti di Bagni di Tivoli e, in subalveo, del F.Aniene. Le acque del lago del Merro, apparentemente immobili, si muovono in realtà con una velocità valutabile da alcuni centimetri ad alcuni decimetri al giorno, seguendo nel corso dell'anno la fluttuazione regolare della superficie piezometrica della falda regionale, con variazioni estreme di livello indicativamente di 0,5 metri. Fin qui il Pozzo del Merro può essere considerato come il più profondo lago carsico del pianeta esplorato indirettamente con tecnica R.O.V. Unitamente ad altre cavità note in regioni carsiche del mondo, rappresenta un magnifico esempio di carsismo termale ancora in evoluzione, in aree soggette a tettonica attiva.
Il progetto scientifico
Il progetto esplorativo del Pozzo del Merlo si inquadra in una più vasta ricerca riguardante l'idrogeologia dei M.ti Cornicolani nel Lazio orientale. Il responsabile della ricerca è il Prof. Paolo Bono docente di Idrogeologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Roma "La Sapienza".
Per la particolarità del sito in studio si sono rese necessarie delle immersioni scientifiche speleosubacquee al fine di raccogliere i dati necessari alla ricerca; come Scientific Diver F.I.A.S./ I.S.S.D sono impegnato nell'esecuzione di queste immersioni e i dati raccolti, dopo un'adeguata elaborazione, costituiranno parte integrante della mia Tesi di laurea in Scienze Geologiche. Le immersioni naturalmente costituiscono solo una parte, seppur spettacolare ed interessante, del meticoloso lavoro scientifico necessario per condurre una seria ricerca idrogeologica. Mai come in questo caso è necessario un lavoro di squadra che coinvolge persone con bagagli culturali diversi e complementari gli uni agli altri. Oltre al già citato Prof. P. Bono e al sottoscritto lavorano al progetto il Dott. Carlo Percopo (collaboratore scientifico del D. S. T.) esperto in geochimica delle acque e valido sub, Riccardo Malatesta (effettivo nel Corpo dei Vigili del Fuoco) che, nel tempo libero, collabora alla raccolta dei dati durante le immersioni e si occupa di buona parte della logistica, Simone Formica (Istruttore Subacqueo) compagno di immersione.
Il lavoro nel Pozzo del Merlo si articola in più punti che spaziano dalla mappatura della struttura a misure termiche, al campionamento di acqua, roccia e materiale biologico. Per ognuna di queste operazioni si sono adottate tecniche diverse e adeguate alla logistica del sito. Quando possibile abbiamo utilizzato protocolli suggeriti da organizzazioni speleosubacquee nazionali ed internazionali, altre volte abbiamo sviluppato procedure nuove testandole preventivamente in immersioni di prova.
Un aspetto da non trascurare in questo tipo di attività è anche quello "burocratico"; le operazioni condotte esulano da quelle classiche di una Tesi tradizionale soprattutto per gli aspetti assicurativi e di responsabilità civile. Per questo motivo è stata stipulata un'assicurazione professionale specifica mediante il Divers Alert Network sollevando il D.S.T. e il Prof. P. Bono da qualsiasi responsabilità. Inoltre la cavità è inserita nell'Area protetta del Parco di "Macchia di Gattaceca", l'ecosistema in studio è estremamente delicato e particolare ed occorre prestare la massima attenzione al fine di minimizzare l'impatto ambientale che si origina immergendosi in acque sostanzialmente isolate da moltissimo tempo. Prima di intraprendere qualsiasi attività di ricerca abbiamo contattato le Autorità locali e il Servizio Natura ed Aree protette della provincia di Roma. Da questi Enti abbiamo avuto una risposta entusiastica alla proposta di ricerca ed un'ampia collaborazione, soprattutto da parte dell'Amministrazione comunale di S. Angelo Romano nella persona del Sindaco O. Mattei.
L'esplorazione subacquea
Una prima serie di immersioni ci hanno consentito di raggiungere la profondità di -70 m. eseguendo una mappatura preliminare e campionamenti di acqua e roccia. La cavità prosegue oltre questa quota ma non è prudente scendere a profondità superiori a quella raggiunta continuando ad usare la semplice aria come gas respiratorio. Abbiamo quindi deciso di estendere l'esplorazione con l'uso di miscele per cercare di raggiungere il fondo della voragine. L'operazione è stata resa possibile anche grazie al contributo economico concesso alla ricerca dall'Acea S.p.A. Lo scopo dell'immersione era di cercare di definire la profondità della cavità e campionare l'acqua per la ricerca in corso. Informazioni varie indicavano una profondità massima di circa 80 / 90 metri, in ogni caso avevamo organizzato la cosa in modo da poter essere operativi fino a -103 m.
L'organizzazione dell'immersione ha richiesto vari giorni di preparativi. Per prima cosa si è scelto il gruppo di supporto, fondamentale per la riuscita in sicurezza dell'immersione, poi abbiamo iniziato la compilazione delle tabelle necessarie e quindi ci siamo occupati delle miscele La miscela scelta è stata un Nitrox 36 per il trasferimento dalla superficie ai -33m ed una miscela Heliair 12/40 (12% Ossigeno, 40 % Elio, 48% Azoto) dai -33m al fondo. La decompressione si è effettuata in Nitrox 36 ed ossigeno puro per le quote di 6 e 3 metri. Per gli aspetti medici abbiamo avuto la cortese e professionale assistenza del Centro Iperbarico Romano e in particolare della Dott.ssa Giuliana Valente e di Luca Borzelli
Finalmente sabato 08/05/1999 tutto era pronto! Ci siamo alzati di buon mattino e, con una certa trepidazione, abbiamo controllato un'ultima volta tutta l'attrezzatura prima di caricarla sulle macchine e partire alla volta del Merlo. Giunti sul posto si è iniziato a scaricare il materiale e a trasportarlo fino alla superficie dell'acqua. Dopo quasi tre ore di duro lavoro la squadra di supporto (composta da otto validi elementi) terminava il suo compito e passava il testimone al gruppo sub.
Il primo a scendere in acqua è stato Simone Formica che, impeccabilmente come sempre, ha sistemato le bombole per la decompressione e per le miscele di riserva. Ottenuto l'OK da Simone Riccardo Malatesta ed io ci siamo preparati per la discesa.
La discesa inizia sicura lungo la cima guida principale fino ai -33 m a questa quota lasciamo le bombole di Nitrox e proseguiamo con l'Heliair. Alla quota di - 50m la cima principale si interrompe e Riccardo collega a questa la cimetta del reel che da questo punto in poi costituirà il solo legame con la superficie. Raggiungiamo rapidamente i -70m , la cavità inizia a restringersi ed il fondo si orizzontalizza; oltre i -75m però la struttura assume una forma a fessura e pochi metri dopo ci troviamo sospesi nel buio senza più vedere il fondo o il tetto! Ci portiamo verso la parete orientale e continuiamo la discesa. La parete di calcare scorre veloce mentre noi ci lasciamo scivolare nel buio liquido che ci circonda, il display del computer indica valori crescenti - 80, -90, -95.... a - 100m ancora non c'è traccia del fondo ma ci dobbiamo fermare e cercare un buon ancoraggio per la cima lungo la parete. Mentre Riccardo si occupa di sistemare la cima guida io riesco a prelevare un prezioso campione d'acqua che sarà oggetto di analisi geochimiche nel laboratorio dell'Università. Un rapido controllo dei tempi ci dice che è inderogabilmente ora di risalire verso la lunga decompressione che ci aspetta molte decine di metri più in alto. La risalita è continua e cadenzata dal rispetto delle velocità programmate e dei tempi di transito alle varie quote; il computer, ignaro del fatto che stiamo respirando una miscela ben diversa dall'aria, continua il suo silenzioso calcolo della decompressione e i tempi evidenziati sono impressionanti. Verso i -70 scorgo la luce del faro di Simone che , 20 metri più in alto, ci attende alla quota prevista. Raggiungiamo i -50m, un rapido segno d'intesa e continuiamo la risalita lungo la cima principale fino ai -33m. A questa quota cambiamo gas respiratorio riprendendo il Nitrox che ci accompagnerà, dalla tappa di decompressione dei - 30 m fino ai -6 m ove inizieremo la lunga fase ad ossigeno puro. Simone ci segue con una bombola di riserva pronto ad intervenire per ogni evenienza.
Siamo ormai a pochi metri dalla superficie e mentre aspettiamo che passino i lunghi minuti di decompressione torniamo a ripensare a quanto visto. La cavità è ben più estesa di quanto si potesse immaginare e sicuramente torneremo per cercare non solo di trovarne il fondo ma per eseguire un rilievo della parte profonda visto che questo è uno degli scopi della ricerca in corso.
Prevediamo, nel prossimo futuro, di organizzare una campagna di alcuni giorni in modo da poter organizzare una serie di immersioni profonde, con l'uso di miscele, per definire meglio le dimensioni e le caratteristiche della parte terminale della cavità.
Vorrei concludere questa nota ricordando che in immersioni di questo tipo è di fondamentale importanza l'organizzazione al fine di minimizzare i rischi per gli operatori coinvolti. L'esecuzione di misure e campionamenti infatti aggiunge ulteriore carico di lavoro ad un'immersione che è già di per se stessa complessa ed impegnativa per profondità raggiunte e per la tipologia dell'ambiente in cui si svolge. Solo con una lenta progressione e accettando i propri limiti è possibile raggiungere risultati scientificamente validi nel rispetto della sicurezza che, non è superfluo ripeterlo, viene prima di ogni altra considerazione.
Tratto dal sito di Assonet.
Rilevo 1
Rilievo 2
Rilievo 3
Rilievo 4
Lat:42.03938889N Lon:12.68111111E Datum:WGS84
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